Ci s’interroga ormai da qualche anno sui pericoli dei social network. Sulla loro pervasività, sulla loro reale capacità d’incidere sui comportamenti delle persone più fragili a partire dai giovani.
Nelle scorse ore ancora una tragica notizia. Una bambina di 10 anni che, accettando un pericoloso challenge su un noto social (non gli faremo qui pubblicità) ci ha rimesso la vita. Accade a casa nostra, accade dopo i moniti, gli allarmi e le normative già in essere nel nostro Paese. Il che significa una sola cosa: al di là delle norme e della scuola quello che sta venendo a mancare nella nostra comunità è il concetto di famiglia.
Cioè di quella forma associativa di convivenza determinata da un vincolo affettivo la cui identità è data dalla vicinanza, dalla solidarietà e dall’amore. Amore inteso come possibilità di essere vicini e allo stesso tempo di responsabilizzare attraverso l’esempio, mediante i comportamenti. Invece stiamo assistendo ad un costante continuo sfilacciamento delle radici, dei legami, della coscienza data dalla presenza intesa anche come consapevolezza che l’esserci contraddistingue ciò che è famiglia. Esserci non solo fisicamente, ma anche da un punto di vista della consapevolezza tramandata nell’osservare criticamente la realtà. Nell’essere parte della comunità mantenendo intatta la consapevolezza che l’amore verso sé e gli altri si declina mediante una presenza attenta del rapporto con gli altri, agevolando una coscienza critica di ciò che si fa e si è dentro un contesto sociale. “Prima di attraversare la strada, sulle strisce pedonali guarda a destra e a sinistra e attraversa solo se la strada è sgombera”. Trovare il tempo per fornire ai nostri figli la coscienza che il sapersi interrogare in relazione a ciò che siamo con gli altri rappresenta la sfida più importante per combattere i rischi del web. Recuperando allo stesso tempo il senso della famiglia perduta. Un esercizio che richiede volontà. Personale, individuale, sociale e politica.