Prendendo spunto da un testo del Prof. Carmine Castoro, Covideocracy appunto, annotiamo che i casi di Covid in Italia sono dipinti come un pericolo. E che in ragione di quest’ultimo stiamo nuovamente andando incontro a gravi misure restrittive della libertà personale, nel nome dei principi della salute pubblica che sarebbero minati dal Coronavirus. Il quale certamente esiste, certamente dimostra una notevole capacità di diffusione, ma non per questo è dimostrato che sia una patologia così grave da dover obbligare oggi a processi di ospedalizzazione come è stato a Febbraio, Marzo Aprile. Intanto per l’evidenza empirica di aver compreso meglio il virus; in secondo luogo perché sappiamo come contrastarlo sul piano farmacologico. E in terzo luogo perché la sua carica virale si è ridotta. Le dimostrazioni sono sotto gli occhi di tutti: Berlusconi, Bolsonaro, Boris Jonhson, Trump, Ibrahimovic. Giovani o vecchi, atleti od obesi americani, il virus è stato contenuto anche in persone con pregresse patologie.
C’è poi da considerare che il Sars cov 2 ha una forte capacità di propagarsi ma senza che gli effetti siano drammaticamente pesanti. Ci informa il Gimbe, che oltre il 93% dei colpiti dal virus, è asintomatico o paucosintomatico e non ha problemi a proseguire la sua vita quotidiana. Dunque le misure restrittive adottate per evitare di avere le terapie intensive di nuovo piene appaiono misure draconiane di incomprensibile durezza e di oggettiva deficienza cognitiva. Se il 93% degli affetti dalla patologia, può continuare la sua vita oggi dopo solo 10 giorni di quarantena, vuol dire che l’incidenza del virus, nei suoi effetti collaterali, è molto meno incidente di prima. Anche se tutta questa situazione si presta ad una ineludibile domanda: qualora dovessero esserci di nuovo 4000 persone in terapia intensive e come ha sostenuto l’Iss dovessero produrne 150.000, non avrebbe avuto più senso costruire mille nuovi ospedali da mille posti nelle vento regioni italiane, per scongiurare che un raffreddore generi il panico in una scuola, in una famiglia o in un nosocomio?