Non possono salire sui mezzi di trasporto pubblico in sicurezza. Non possono entrare in un oratorio, senza adeguata iscrizione. È loro precluso l’uso di luoghi pubblici in cui assentarsi, perché significherebbe mettere a repentaglio la loro vita.
Non possono andare allo stadio, in palestra, in discoteca. A scuola dovrebbero stare con la mascherina, la visiera, presto gli verranno imposti i guanti. Non possono giocare a pallone, fare attività fisica, perché tutto è potenzialmente pericoloso.a causa del Covid.
Abbiamo loro precluso una vita normale, sottraendo anche il diritto a una vita se è vero che qualcuno recentemente ha proposto persino che si faccia l’amore, a qualunque età, indossando la mascherina. Infine li abbiamo condannati mediaticamente, li abbiamo bastonati su giornali e tv, e poi minacciati con l’uso della forza pubblica per disperdere la loro energia vitale.
Quando poi sentiamo però che un sempre maggior numero di ragazzi fa uso di psicofarmaci facciamo finta d’indignarci e sorprenderci, chiedendoci come mai possa accadere una cosa del genere. Li alleviamo educandoli ad avere paura, allontanandoli da qualnque difficoltà, proteggendoli da quegli sforzi, anche dolorosi, a cui la vita ci sottopone, convinti come siamo “che loro non debbano vivere quello che abbiamo vissuto noi o i nostri padri”. Accade così che un rifiuto, un no, un insuccesso diventino motivo per crisi profonde, da cui una vasta platea di giovani non riesca a sottrarsi. Di più: molti scappano e si rifugiano nel mondo ideale di Internet preda di un tribalismo che li conduce dritti a tatuarsi nel necessario bisogno di manifestare sulla pelle il disagio chi non sanno dare parole. Insieme agli smartphone l’ultima tratta di un percorso all’inverso, di regressione profonda di una generazione tenuta lontano dal conflitto e dalla guerra per paura della morte, diventato lo spettro di cui mai parlare
Questa generazione di adulti ha molto da interrogarsi sulla mancata adozione di un’identità, smarrita nei meandri di un narcisismo patologico.