Festival di Sanremo: strizzare l’occhio agli ascolti. E se questo significa far parlare e legittimare, con la sola presenza, uno che ha scritto una canzone, più d’una in verità, accompagnandola con un video in cui incita alla violenza, allo stupro e al femminicidio, allora va bene. Via libera a Junior Cally. Il Dio danaro è l’unica cosa che conta.
A scegliere questa feccia urbana che inonda come una cloaca YouTube, e che adesso cerca soldi a Sanremo, è stato Amadeus. Diciamo le cose come stanno. Ognuno risponde delle azioni che sceglie d’intraprendere. Questo Junior Cally è un ragazzo che da bambino avrebbe avuto, dicono le cronache, una malattia simile alla leucemia. A seguito del quale si sarebbe in realtà ammalato psichicamente. Soffrirebbe di una forma di ossessione delirante. Di una malattia mentale. Da qui i suoi turbamenti trasformati in pattumiera musicale veicolata nelle cloache social che i ragazzi, i nostri figli, i nostri nipoti, consultano, utilizzano, condividono quotidianamente. In una società responsabile non si censura: s’impedisce preventivamente con l’esercizio del controllo di pubblicare simili deliri mentali.
È vero: tutti hanno il diritto di esprimere liberamente la propria opinione ma è anche vero che tutti sono tenuti a rispettare l’identità delle persone e la loro libertà. La mia libertà, la libertà di tutti finisce dove ha inizio quella degli altri. Se fai una canzone e un video che pubblichi con il chiaro intento di renderla visibile a una massa di giovani, cercando pure di guadagnarci, meriti di vederti chiuso il profilo, sequestrato il diritto di utilizzare i mezzi di comunicazione se la tua sollecitazione rischia di trasformarsi in un pericoloso delirio al servizio della bramosia di danaro.
Qui la libertà di pensiero non c’entra nulla. Junior Cally, semmai, manda un chiaro messaggio di aiuto, di cui lui per primo ha bisogno. Trattare le donne in un certo modo, renderne legittimo lo stupro e addirittura l’omicidio, declina una chiara malattia mentale dovuta ad una sofferenza psichica nella relazione con l’altro da sé a partire dal femminile e a partire dal materno. Questo genere di sofferenza si può curare con la psicoterapia. In alternativa, come facevano più spartanamente i nostri nonni con il lavoro nelle campagne o nelle poche miniere di carbone rimaste. Anche se forse la soluzione migliore sarebbe far toccare con mano la sofferenza. Portare questi piccoli uomini sofferenti in un reparto di oncologia a raccogliere il vomito di chi soffre e combatte per restare in vita.
Più che Sanremo a questi giovani virgulti del parassitismo capitalista servirebbe una giornata di lavoro in ospedale tra sangue, dolore, merda, pianti, urla e aghi. Una giornata dentro il senso dell’esistenza. Un Emdr particolarmente selettivo. Certamente utile.