È rivolta al Sindaco al Questore e al Prefetto. Una petizione voluta dagli abitanti di Via Padova, Stazio, Transiti, Clitumno, ma anche dall’Associazione “Via Padova Viva” e da “La città del Sole”. Una petizione in cui si chiedono diverse cose sulla base di diverse osservazioni.
La premessa
Via Padova è inclusiva ed abituata ad integrare, e nessuno vuole rimuovere questa consuetudine. Cosi il prologo del documento che chiede la raccolta di firme in calce, a seguito di una serie di osservazioni:
• In Via Padova non sarebbe osservato il rispetto dell’art 688 del codice Penale, per cui vi sarebbe ubriachezza molesta in parecchi soggetti
• La vendita di alcolici in diversi supermarket, soprattutto stranieri, ai numeri 33 e 35 in particolare, e soprattutto di notte ma spesso anche di giorno;
• Come conseguenza, molestie pubbliche reiterate verso l’inerme popolazione, anche contro i bambini che a seguito delle molestie sarebbero limitati a una “serena socializzazione”, e renderebbe i cittadini “ostaggi”, di questa situazione.
Viene chiesta
• La chiusura dei minimarket sulla base della legge 120/ 2010
• La costituzione di un presidio di polizia fisso in via Giacosa presso la sede delle guardie ecologiche
• Un’azione di “prevenzione sociale” con la costituzione di presidi fissi di tipo sanitario e “servizi di welfare” e “portierato sociale”
• La formazione di una rete integrata sulle dipendenze da alcool.
Da sempre, da quando siamo nati noi di Milano Positiva, abbiamo raccontato la realtà del Municipio senza fare sconti. Le difficoltà, le condizioni di disagio sociale, la difficile condizione per le donne, per le famiglie. Ciò detto, e ci sono oltre 200 articoli a testimoniarlo, detto cioè delle difficoltà oggettive ancora oggi presenti, abbiamo anche raccontato di come Via Padova abbia radicalmente mutato la sua immagine e la sostanza della sua vivibilità.
Negozi etnici, ristoranti, bar, centri culturali, l’esperienza positiva del Parco di Via Trotter, i banchetti della domenica e i mercatini delle pulci. Le occasioni di condivisione che sono nate grazie ai comitati spontanei.
In questa narrazione a nostro avviso va colta l’opportunità che offre: la possibilità di mettere l’una accanto all’altra le diverse condizioni di vita di chi in modi anche opposti qui ci vive.
Che cos’è l’ubriachezza? Da dove nasce? L’effetto di cosa è, quello cui assistiamo? E già che ci siamo: qual è la sessualità di chi, arrivando da Paesi lontani, siano essi sudamericani e africani, cerca oggi di entrare nel nostro tessuto sociale? E a questo proposito: che immagine offriamo noi, quali propositi economici e culturali offriamo? Quali sono i nostri valori? Qual è la considerazione che abbiamo verso il danaro, verso l’economia globale, e quindi verso il fisco? Qual è la nostra idea di democrazia? Che cos’è per noi la democrazia? Qual è la nostra considerazione della donna, quali sono i nostri valori sul rapporto tra uomo e donna? Qual è il nostro concetto di sicurezza? Che cos’è la sicurezza? È probabile che la risposta sia: “il nostro diritto di vivere in pace e senza turbamenti quando passeggiamo per strada, senza il timore di essere disturbati da persone che giacciono per terra oppure ciondolano ubriachi per strada con una bottiglia in mano”.
Da questo punto di vista diventa lecito la richiesta di avere più Polizia, poi magari armata, poi magari in grado di avere il diritto di esercizio alla repressione dei fenomeni violenti che dovessero prodursi.
Una domanda però dovremo pure porcela: quando guardiamo le immagini di un popolo martoriato come quello curdo e come quello siriano; quando vediamo la loro fuga da una terra ad alcuni di loro negata; quando osserviamo che alcuni di loro arrivano fino a qui e il cambio di vita radicale e l’impatto con un’economia che o non li integra economicamente per una molteplicità di ragioni oppure li sfrutta con il caporalato; quando per queste ragioni non reggono il peso psicologico di uno sradicamento che li angoscia al punto di lasciarsi andare all’alcool; quando tutte questioni date saranno prese in considerazione, cosa pensiamo di fare? Di presidiare con i militari il disagio sociale, o di costruire un dialogo fatto di assistenza e vicinanza, di sostegno e comprensione, di solidarietà e pazienza? Perché possiamo anche pensare di militarizzare tutto, perché un’arma è una rappresentazione fallica di una fallicità psicologica mancata, ma purtroppo è dimostrato che non basta.
La vita richiede pazienza, comprensione, capacità di cogliere l’altro da noi con l’ascolto, quello vero: non quello della moneta posta in una mano e neppure quella dei ghetti in cui spostare il problema. Potete portare gendarmi, gli Ak 47 di fabbricazione sovietica, le volanti di polizia fissa ( quelle mobili ci sono da anni)
Potete pensare che l’umanità e la sua complessità si mitighi o si costringa dentro un recinto di controllo presidiato dalle armi.
Vi accorgerete che le parole hanno cambiato la vita degli uomini. E le loro conseguenze: ovvero le azioni. Le armi potranno preservare le vostre insicurezze per un po’. Non risolveranno il problema. Quanti di noi hanno la volontà di fare in prima persona quello che pensano di delegare a terzi, di solito vestiti in mimetica e armati fino ai denti?