A piccoli passi. A piccoli passi, si possono cambiare le cose. È la storia di Andrew, 24 anni, nigeriano, da due anni in Italia, con un diploma di laurea in Business administration acquisito in patria, tre lingue parlate, ma che conosco davanti ad un bar, una mattina.
Sta facendo l’elemosina, il freddo è pungente, ma lui è discreto. Il suo cappello rosso e nero e i modo gentili. Accompagna le signore con le borse, apre loro la porta. Ha un modo di fare gentile, quasi tenero. Quando gli si rivolge la parola ha una timidezza congenita. La prima volta che gli parlo dice poche parole in italiano
In inglese invece padroneggia la lingua. Sarà solo nei giorni successivi, a briglie sciolte, e con meno riservatezza delle prime volte, che troverà il coraggio di dirmi: “Ho fame”. Lo invito al caldo del Bar Carapina, che si trova in una via laterale di Via Padova a Milano. Il bar è riscaldato e lui anche quando mangia, malgrado la fame riesce a tradire quasi un aplomb anglosassone.
Andrew non si perde mai d’animo. Ad un certo punto parliamo dei suoi studi, della sua famiglia. Ha lavorato in Nigeria per un po’. In un albergo. Poi, scarseggiando il lavoro, ha deciso di venire in Italia. Arriva in Sicilia, poi va in Calabria, quindi si trasferisce al nord. Arriva a Milano ma abita in una comunità di Nigeriani fuori Bergamo. Ogni giorno viene a Milano e mentre chiede qualche spicciolo, se capisce che gli si offre l’opportunità chiede un lavoro. Ha fatto l’idraulico, l’operaio, il tecnico, ha lavorato in una pescheria.
Si adatta. Lo presento a Gianni Zais di Milano Positiva. Che gli trova un lavoro. In un bar a Milano. Gli hanno anche rinnovato il contratto. Lui è felice, persino felice di contribuire, “a far crescere economicamente il Paese”. Un bel successo per lui che meno di un anno fa nello stesso posto allungava la mano per chiedere una monetina. Adesso lavora e nello stesso bar mi rilascia un’intervista.
Non ha mai mollato, Andrew. E già si prepara a presentarmi Brian suo amico fraterno. Lui ha 27 anni, anche lui cerca un lavoro. Ed allunga il suo cellulare a Gianni Zais. Gli mostra i suoi tre figli rimasti in Nigeria. Quando arriva la figlia femmina ci dice: she’s my princess.
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