Dunque ce l’abbiamo fatta. Ce l’ha fatta l’Italia, ce l’ha fatta Milano Città- Stato. Ce l’ha fatta la buona politica, ce l’hanno fatta i soldi a unire chi fino a 5 minuti prima s’è preso a pesci in faccia per l’aumento del biglietto del tram. Nel 2026 ci portiamo a casa le Olimpiadi.
Insomma ce l’ha fatta quell’insieme di persone e professionisti che al di là delle diverse vedute, delle diverse posizioni politiche, hanno considerato e considerano i grandi eventi un’opportunità per far crescere una collettività. E per questo hanno lavorato a testa bassa, facendo squadra: dal sindaco Sala, al Governatore lombardo Attilio Fontana, su su fino al Presidente Giuseppe Conte. Adesso sul carro dei vincitori, dati i risultati di Expo, saliranno tutti, ma proprio tutti: persino i Cinque Stelle che pochi minuti dopo il si a Milano hanno pubblicato un documento di giubilo; ma invitando a vigilare contro possibili rischi di corruzione ( attenzionamento assolutamente appropriato considerata la natura non propriamente morale di molti di coloro che ruotano attorno ai grandi appalti)
In serata poi hanno superato se stessi, avocando a sé la vittoria conquistata dopo aver negato qualunque contributo o sostegno del Governo centrale.
Va anche detto che Milano amplifica così il proprio ruolo di leadership in Italia e anche in Europa, di buon auspicio per molte categorie professionali. Il settore immobiliare gongola, quello del turismo pure, non parliamo del commercio. Persino quello editoriale si prepara ad un riscatto; non di soli tagli vivono le testate giornalistiche e l’avventura olimpica costituisce ragionevole motivo per infondere un po’ d’ottimismo.
Dunque tutto bene? In questo momento l’euforia prevale, naturalmente. A mente fredda potremo pensare a questa occasione come all’ennesima opportunità che viene offerta a Milano. Sapremo vincere la scommessa nei prossimi sei anni e mezzo?
Dipende da noi. Adesso le olimpiadi diventeranno tema di contrapposizione politica per le elezioni comunali del 2021. Dipende da noi costruire un’idea di città e di nazione in cui il danaro non sia usato come sperpero, come ennesima abbuffata per i soliti noti.
Sono l’occasione per un rilancio delle periferie. L’opportunità per creare lavoro. Sono l’occasione per portare nelle città nuove infrastrutture. Cominciamo a pensare al futuro. A macchine elettriche che non inquinino, ad esempio. A modelli urbanistici diversi da quelli milionari del bosco in città. Ad un’idea di città a misura d’uomo.
In cui i mezzi pubblici funzionino con regolarità anche in periferia ed in sicurezza. In cui l’aria che respiriamo sia preservata dall’uso di mezzi alternativi per riscaldare i nostri appartamenti, diversi dalle caldaie inquinanti attuali.
Un’idea di città in cui nessuno s’affacci da qualche palazzo per dire che s’è sconfitta la povertà. E che pensi alle scuole come il punto di partenza per un rinnovamento globale. Sganciando dalla collettività l’idea che lo Stato sociale debba sempre garantire la propria sussistenza solo con l’aumento delle tasse. Cominciamo anche a tagliare quello che non serve. Non ci serve il caporalato, il lavoro gratis, gli stage non retribuiti, la cancellazione del lavoro per gli over 50.
Ci serve il coraggio di una rivoluzione silenziosa ma concreta in cui al centro ci siano le persone. Tutte le persone. Non le lobby. Non le banche, non il private equity. Ci serve tutto insieme. Altrimenti sarà una mangiatoia per i soliti noti, il tintinnio delle manette dei magistrati, l’occasione per la solita orgia di commenti apocalittici sui giornali.
Coraggio, Milano. Serve coraggio. Buon senso e onestà. Non è chiedere troppo.
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