C’è un evento che ha contraddistinto Expo, nel 2015, di cui molto poco s’è parlato, quando sarebbe stato il caso.
Fu il momento di preghiera ecumenica che tutte le rappresentanze religiose decisero di condividere: musulmani, ebrei, cattolici, buddisti, protestanti, ortodossi, tutti insieme in due momenti diversi nei sei mesi della rassegna internazionale decisero di condividere insieme un momento di riflessione. Prima un momento di discussione condivisa e un simbolico pasto comune con i piatti espressione delle singole religioni.
Il secondo momento invece fu quello in cui venne condivisa la preghiera comune, ciascuna secondo le proprie consuetudini e secondo le proprie modalità. Un momento di altissima spiritualità alla presenza di una sparuta presenza di giornalisti e di curiosi, relegati in un usbergo dell’esposizione internazionale, ma alla presenza delle figure apicali di Expo a partire da Beppe Sala, oggi sindaco di Milano.
Primo cittadino che ben aveva compreso il valore di quell’esperienza ecumenica che aveva il precipuo scopo di segnalare la possibilità di dialogo interreligioso laddove, in un periodo storico scosso da conflitti internazionali e dall’emergenza Siria, il dialogo appariva ancora come un’utopia ed in qualche modo un’interferenza al conflitto armato, decisamente preferito dalle aziende delle armi e dai fautori dello scontro che da sempre alimentano le proprie ricchezze grazie alla guerra.
Il simbolico gesto compiuto dai rappresentanti delle singole religioni ha certamente costituito un modello che non andrebbe abbandonato, sebbene il dialogo sia molto più faticoso, in termini umani, rispetto alla delega delle armi, dove il vincitore è sempre la.conseguenza del dispiegamento di risorse adottato per il rifornimento di armi, che assicura continuità ad una logica di morte ma anche di affari.
Ciò malgrado, alla luce di un multiculturalismo e di una multietnicità sempre più marcata sul territorio italiano, e rimarcato dalla presenza di bambini di mezzo mondo presenti nelle classi elementari e medie delle nostre scuole, pensiamo che il dialogo e l’integrazione siano un percorso forzato della storia, figlio di una pluralità di condizioni, non ultima la condizione di marcata denatalità nel nostro paese in cui i figli non nascono non solo perché le coppie decidono di non procreare, ma perché è in forte ascesa la crescita di sterilità femminile e maschile.
L’aria che respiriamo, il cibo che mangiamo, lo stile di vita che conduciamo, ai limiti di uno stress collettivo patologico, crea una progressiva barriera a fare figli. Ebbene tutto questo c’induce a doverci mettere attorno ad un simbolico tavolo dove ritrovare la dimensione dell’umano, e della sua spiritualità per dare un senso alla vita.