Enzo De Feo è un uomo semplice. Un informatico, prima di tutto, un cervellone che per anni ha lavorato in un settore in cui la dimensione umana conosceva solo una condizione: quella dei numeri. Il diritto di sognare.
Come tutte le discipline in cui sono i numeri a prendere il sopravvento, tutto è dunque misurabile ed è la misura, a decrittare delle realtà altrimenti nascoste.
De Feo il bullismo lo ha scoperto quando ad esserne rimasto coinvolto è stato il figlio, scovando all’interno del mondo social un universo parallelo. Una verità tra verità, o una falsità tra falsità, una galassia costellata di miriadi di piccoli frammenti umani, ciascuno contraddistinto da una sua monade, ciascuno lasciato vagare nel caos di un mondo in cui la complessità diventa difficilmente interpretabile e comprensibile.
Con De Feo quindi il tema che affronto ha più livelli. C’è quello relazionale, padre – figlio, dentro la cui dicotomia si staglia parte della complessità presente, avendo la figura del padre subito un’evaporazione, un demansionamento che ha impoverito non solo il ruolo del figlio, ma quello delle norme più in generale.
E c’è poi il ruolo invece che ha ad oggetto la trasfigurazione dello Stato; che nel tempo ha perso la sua funzione di controllore e regolatore delle realtà soprattutto nel segmento della tecnologia sempre più pervasiva, nella dimensione umana e pratica del vivere quotidiano. Da tecnico De Feo s’interroga sull’uso dei dati che il web immagazzina, fa propri e non restituisce alla comunità se non sotto forma di induzione alla domanda e al consumo. In questo senso la dimensione del moderno capitalismo ha assunto un’immagine violenta. Entra nella vita degli uomini e ne fagocita profonde paure e un bisogno di vederle protette.
Nella declinazione del progressivo spendersi del tempo, sussiste una condizione sempre più incontrollata. È il vuoto del web, privo di una dimensione identitaria: quasi labirintica. Dentro questo dedalo velenoso di strade intossicate da un invisibile volume di algoritmi, si dispiega il vivere angosciato dei nostri ragazzi. Che cercano risposte al senso della vita dentro realtà superficiali, virtuali, inesistenti. Dando consistenza a dunque a fantasmi. E di questo si cibano: di proiezioni fantasmatiche dentro le quali si staglia l’attuale condizione umana. Solitudine, soprattutto solitudine
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