E’ sempre la stessa storia, il problema del lavoro. Fujitsu licenzia: “L’ Italia non ha valore d’impresa”
Li hanno buttati fuori con un semplice comunicato. “Non ci servite più, l’Italia non è un Paese competitivo, siete come Grecia e Marocco. Grazie di tutto e a non rivedervi più”.
Sono 197 i licenziamenti. Una parte di loro in questi giorni sono nelle piazze di Milano a far sentire la propria voce. Sono tutti professionisti qualificati, altamente specializzati. Ascoltandoli, mostrano proprietà di linguaggio e una consapevolezza di dove stanno scivolando.
C’è la ragazza appena inserita che era convinta di essere entrata in un’azienda tanto grande da avere il posto assicurato a vita; e la signora di 57 anni troppo giovane per andare in pensione e troppo vecchia per essere collocata.
C’è il delegato sindacale che si domanda come mai un Paese industrializzato come il nostro venga trattato come l’ultimo dei reietti.
Soprattutto c’è lo sgomento e l’incredulità di lavoratori che sanno di aver prodotto profitti e utili per 3 milioni di Euro e che mai si sarebbero aspettati di essere trattati in questo modo.
Soprattutto c’è la presa di coscienza “che il problema in Italia è il lavoro”. E poi c’è la divaricazione tra la trentenne che non vuole il reddito di cittadinanza e la cinquasettenne che il reddito di cittadinanza non lo disdegna, “anche se prima di tutto deve essere garantito il lavoro”.
Sono le voci che nei tg e sui giornali non siete abituati ad ascoltare e per questo ve le voglio fare sentire quasi tutte. Perché nello stupore c’è anche il dolore e la delusione per un Paese che “fa troppe chiacchiere, stanno sempre a parlare”.
Sembra una nemesi: nell’information tecnology affondano i piedi dei politici che, privati del finanziamento pubblico, hanno nei social un luogo quasi esclusivo in cui fare arrivare le proprie istanze. E dall’IT arriva il segnale che l’Italia non ispira fiducia, per cui le multinazionali se ne vanno
Non c’è di che sorprendersi. Se si fanno politiche contro la globalizzazione e il capitalismo selvaggio, dunque populiste, s’innerva il sistema di una volontà reattiva atta a fermare il cambiamento.
Non appaia blasfemo ma la lotta contro il sistema delle multinazionali ha in sé qualcosa di eversivo se è vero, com’è vero, che è nato già con le Brigate Rosse che volevano abbattere in modo rivoluzionario (e armato) quel sistema.
Oggi lo si vuole fare con una spallata politica, ma quel sistema naturalmente reagisce. Per esempio delocalizzando e portando altrove la propria ricchezza.
La domanda da porsi, dunque, è: nel mentre della battaglia, c’è un piano alternativo che supporti il lavoro che viene dragato e tradotto all’estero nei paesi in cui costa meno, secondo il più classico dei dumping economici?
Perché se l’alternativa non c’è, siamo nei guai. Se invece è l’Europa delle piccole Patrie, il rischio è di non farcela ad affrontare colossi molto più grandi di noi.
Se è un’Europa unita, ma nuova, allora sbrigatevi a costruirla. Perché non si vede traccia di futuro quando a casa propria hai la sensazione ( certezza) che comandino altri. I quali, per altro, fanno quello che gli pare.
Ecco le interviste con i lavoratori
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