Sembra incredibile, tanto più oggi. Il lavoro in città, in questa città, c’è. Poco, a tempo, saltuario, occasionale, determinato, a prestazione. Comunque, c’è. La notizia, che tutti gli esperti della materia dicono di conoscere, è che nei centri per l’impiego, compresi quelli di Milano, la possibilità di dare lavoro ci sarebbe: l’offerta c’è. Per un’incredibile sequenza di circostanze che attengono a ragioni burocratiche, però, il lavoro non si riesce ad assegnare.
Il che dipende anche dal fatto che molti lavori non sono apprezzati. Cioè: non è solo una questione di disorganizzazione degli uffici o di procedure burocratiche. In molte circostanze sono proprio i disoccupati a non voler fare i turni di notte o a non voler lavorare con i muletti o nella logistica.
Quest’asserzione, spesso usata nel dibattito politico per assumere che i lavori più umili alla fine li fanno gli extracomunitari, a quanto pare abbia il crisma della verità. In carenza di domanda infatti, è il lavoro a chiamata, mediato dalle agenzie interinali a fare la differenza; e a permettere un collocamento che altrimenti pare assai difficile.
È la complessità che neppure – ovviamente verrebbe da dire – la società dei tweet riesce a spiegare né a risolvere. Il mercato del lavoro, come tutte le altre aree del lavoro, ha in sé un portato di difficoltà altrimenti sostenibile e tanto meno risolvibile con le dichiarazioni roboanti di qualche leone da tastiera né di qualche politico improvvisato.
La complessità sistemica di un mercato come quello del lavoro implica la capacità di coniugare la scienza economica con l’osservazione sociologica, dove sono i meccanismi umani a fare la differenza. Per cui: a Milano e a Palermo, a Trento e a Napoli ci sono realtà economiche e sociali diverse, e sono richieste competenze diverse, soluzioni differenti al comune problema di individuare un lavoro per chi non lo ha.
Resta il fatto poi che incide sulla nostra società anche la cultura dell’immagine su cui s’è costruita un’idea dell’Italia. Sono in molti a desiderare di fare lavori più leggeri, meno faticosi. Ambizione legittima da coltivare, ma è la ragione per cui poi sono molte le città in cui si faticano a trovare idraulici, carpentieri, fabbri.
Lavori che hanno ancora un’elevata domanda ma una bassa offerta. Il paradosso è che per anni abbiamo sostenuto che avessimo sbilanciato il numero dei dottori. Così abbiamo messo il numero chiuso nelle università. Morale: oggi mancano anche i medici. La sensazione è che ci sia una carenza preoccupante di competenze politiche. In funzione delle quali i problemi aumentano anziché diminuire. Ed il lavoro non si trova. Quando pure ci sarebbe.
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