Milano Positiva, parlare ai giovani: siamo ancora capaci di farlo?
È capitato qualche giorno fa, in un liceo di Milano. Una delle allieve, al terzo anno, si rivolge in aula ad una professoressa. “Prof, la prossima verifica sarà sulle ultime cinquanta pagine del testo?
Ma che domanda stupida mi fai? È la replica seccata dell’insegnante. La ragazza, che chiameremo Laura, torna a casa indispettita. È la migliore della sua classe e tra le prime in tutto l’istituto. Supera di gran lunga i 9/10 di media in pagella. Eppure appare contrariata. “Perché mi rivolgo sempre con educazione e rispetto verso l’insegnante, mentre quando qualcuno le replica lei ha sempre quest’atteggiamento indisponente e di prevaricazione. Di più: lei ha solo due classi. Ha fatto una verifica con cinque domande esattamente sette giorni fa. Ma non ha ancora consegnato l’esito della prova”.
La ragazza, offesa, dice di non voler più cercare un dialogo con l’insegnante. Dice anche che qualunque tentativo vorrebbe dire subire una nota dell’insegnante che dovrebbe poi pure motivare ai genitori. Così, pur essendo la più brava, non trova ragione per chiedere conto alla professoressa dell’insolenza con cui l’ha trattata. È aggiunge che tanto vale stare zitti.
Questi atteggiamenti non sono infrequenti nelle scuole italiane. Esiste il fenomeno del bullismo e della gratuita violenza verso gli insegnanti. Esiste però anche il fenomeno del disinteresse di chi non riesce più a credere o forse non lo ha mai fatto, al ruolo che interpreta. Forse per costruire un mondo migliore per i nostri ragazzi servirebbe anche interrogarci tra noi adulti. Genitori ed insegnanti. Responsabili principali delle difficoltà di questa generazione. Tocca proprio ai ragazzi del ’60 supportare i millenials , rispondendo non solo ai loro bisogni ma soprattutto alle paure di cui sono stati pervasi negli anni che Zygmut Bauman ha definito società liquida