Milano Positiva, Razzismo: le professioniste nella pallavolo femminile non esistono: quando la discriminazione fa parte della cultura e nessuno lo vede
Medaglia d’argento? Professioniste le nostre pallavoliste? Mi spiace, siete stati male informati. Le nostre ragazze sono dilettanti. Come la pro loco del vostro quartiere. Una boutade, la mia? Giornalismo squadrista? Anche in questo caso, spaicente di deludervi. La Legge 81 del ’91 afferma esattamente questo principio: non esiste in Italia un’attività sportiva in cui le donne siano considerate professioniste.
Per intenderci: la Fipav, la federazione pallavolista ha sancito che entrambi i generi, maschile e femminile, non siano da considerarsi professioniali.
In generale però tutte le categorie sportive femminili in Italia non possono per legge definirsi professioniste.
La scoperta incredibile Milano Positiva l’ha fatta grazie ad una ex parlamentare Pd, Laura Coccia (nella foto) che ha partecipato alle paraolimpiadi e ci ha spiegato questa condizione: non esiste in Italia una carta d’identità in cui un’atleta italiana possa scrivere “atleta professionista”, come potrebbe fare Leonardo Bonucci, giocatore della Juventus, sulla propria carta d’identità.
Secondo quanto riferitoci dalla stessa ex deputata del Pd, non esiste dunque in Italia un’equiparazione piena tra maschi e femmine nello sport. La stessa Coccia ci ha spiegato di essere riuscita ad incardinare nella legge di stabilità del 2017 una proposta per garantire almeno un fondo nazionale di maternità nel caso una donna sportiva sia in stato interessante, tale da poterle garantire di poter andare in maternità al 3°mese, vista la delicatezza di chi si misura con un’attività come quella sportiva che costringe chiunque ad uno sforzo fisico, cui una donna gravida non può sottoporsi. Nella proposta originaria negli intenti c’era anche la previdenza sociale,il trattamento pensionistico.
Tutto questo per il principio giuridico attualmente in essere che prevede che le donne, atlete della nazionale di pallavolo basket o di pallanuoto che siano, sono da considerarsi semplici prestatrici d’opera. Una condizione che pone le donne in un ruolo di subalternità sia sul piano etico che su quello professionale e che fa sbiancare le polemiche, a questo punto paradossali, di chi accusa la condizione delle donne nell’Islam. Le donne italiane che si cimentano nel mondo sportivo ai più alti livelli, pensate alla nuotatrice Federica Pellegrini, sono considerate alla stregua di una signora Rossi qualunque che va a smaltire la ciccia in palestra.
Oggetto dell’intervista, che nel suo finire ha subìto una virata inattesa, erano in realtà le parole che Beppe Grillo aveva pronunciato sugli autistici a Roma durante il meeting organizzato dai Cinque Stelle. Secondo la parlamentare Pd infatti, l’uso di una patologia per insultare, “è condizione oggettiva di una regressione che ha pervaso coloro che vivono la politica non più capaci di adottare freni inibitori. Usare il turpiloquio è diventato normale e la politica in questo ha dato una grande mano . Per questo – ha aggiunto – ci vuole qualcuno che esiga che le leggi siano sempre rispettate. I diritti conquistati non è detto durino per sempre”.
Sulle parole del leader Cinque Stelle, l’ex deputata ha aggiunto “di avere paura come donna e come donna con disabilità, perché oggetto di un doppio stigma. Come accaduto con la casa internazionale delle donne recentemente sgomberata a Roma, è un certo modo di vivere che è stato rimosso. Ci siamo dimenticati come si viveva prima di quest’era di riflusso, come nel caso della legge 194. Abbiamo perso la memoria storica ed il rischio è di approdare ad uno stato etico.”
In ogni caso la condizione patriarcale nel nostro Paese continua. Il razzismo è solo una parte di questa cultura cancerogena. Il resto lo fa il disinteresse di un apparato politico sportivo e non acculturato che considera la donna come una “dilettante”. Nella vita come nello sport. Poi però se la prende con i musulmani. Come sempre nell’Italia dei gattopardi, due pesi e due misure.